Ho sempre creduto che la mia esistenza fosse correlata da eventi mai straordinari. L’ordinarietà poteva essere considerata la costante della mia vita, abituata com’ero alla metodicità dello scorrere del tempo.
Sveglia, colazione, lavoro, casa.
Autunno, inverno, primavera, estate.
Estate, e io dovevo essere al mare. Non avrei mai pensato di poter trascorrere le vacanze altrove. La cosa che più mi sorprendeva era constatare come questa ciclicità esistenziale appartenesse non solo a me, e così di anno in anno, in quella località turistica della Puglia, ritrovavo le stesse persone. Ogni mattina, in spiaggia, erano i soliti argomenti a prendere il sopravvento; ogni mattina, in riva al mare, erano gli identici gesti a muoversi.
Mai nulla di diverso.
Il vicino di ombrellone che discuteva con la moglie. I bambini che correvano sul bagnasciuga, facendo arrabbiare la signora con la cuffietta azzurra che, sbuffando, decideva finalmente di entrare in acqua. Io me ne stavo seduta sul mio telo a guardare il mare, desiderando che, dall’altra parte dell’orizzonte, una piccola farfalla cominciasse a sbattere velocemente le sue ali delicate, provocando un uragano da quest’altra parte del mondo. In realtà, questi pensieri catastrofici erano causati dalle orme che avevo lasciato sulla sabbia e che il mare cancellava, aiutandomi, in questo modo, a non farmi sentire come un peso la solitudine che straziava il mio cuore.
Mi alzai ed entrai in acqua.
Erano le dieci in punto, e io alle dieci in punto facevo il bagno. Mentre nuotavo notai, tra l’azzurro e il verde, una nota di colore insolito e incuriosita mi avvicinai. Sul pelo dell’acqua, smarrita e impaurita, vidi una piccolissima farfalla. Non esitai ad allungare la mia mano permettendole di trasferirsi sul mio indice. La guardavo meravigliata, mentre la piccola farfalla muoveva le sue minuscole ali. Pensai che l’acqua del mare gliele avesse bagnate impedendole così di riprendere il volo. Rimasi per circa una decina di minuti con la mano alta verso il cielo; ogni tanto soffiavo anch’io sulle sue ali assieme alla brezza marina. Ben presto mi ritrovai circondata dai bambini, attratti e incuriositi da questa mia insolita posizione. Sorrisi loro, pensando che avrei trovato quella “solidarietà” di chi, negli occhi, ha ancora i colori della speranza e benché non amassi essere al centro dell’attenzione, cercai di giustificare il mio comportamento spiegando loro l’accaduto. Avevo del tutto dimenticato che, a volte, i bambini sanno essere crudeli.
– Secondo me sta morendo-, disse uno tra quelli. E ricominciò a sbattere forte i suoi piedi facendo alzare una montagna di schizzi.
Mi fermai nuovamente a guardarla, ebbi la sensazione di essere completamente sola con la farfalla: io e lei. Cominciai a piangere e proprio in quel momento la farfalla iniziò a muovere le ali con più forza. Una voce alle mie spalle mi distolse dalle lacrime.
-Non sta morendo, tranquilla. Hai fatto bene a tenerla fuori dall’acqua!-
Sorrisi al ragazzo che, prima di allora, non avevo mai visto su quella spiaggia.
Mi rassicurò la certezza che aveva: la mia piccola amica avrebbe ripreso a volare.
-Dobbiamo solo pazientare ancora un po’-, disse.
Così cominciammo a parlare tra noi; era la prima volta che veniva in quel posto, perché aveva un appuntamento con una ragazza conosciuta in chat: Butterfly.
– Che strana coincidenza! – pensai.
– Non è una coincidenza! E’ l’uragano delle mie ali, un regalo per te che mi hai salvata!- e in quel momento la piccola farfalla spiccò il volo.